Other Brics in the world. Il format si allarga, il ruolo del petrolio, i rischi per l'Occidente

Di Marco Perduca, pubblicato su Huffingtonpost.it 


Dopo ore e ore di acceso dibattito a Johannesburg tra le delegazioni di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, rigorosamente a porte chiuse, il dado è stato tratto: a partire dal 2024 la prima fase di espansione dei Brics riguarderà Argentina, Egitto, Etiopia, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Iran. Le altre richieste, in tutto quasi 40, verranno esaudite nel corso del tempo. Collante della nuova aggregazione il desiderio di lanciare una nuova moneta, che al momento si chiama R5, che possa scalzare il dominio del dollaro nei commerci internazionale a partire dagli scambi dei membri Brics che coi nuovi ingressi andrebbe a rappresentare il 36% del Pil mondiale. 

Nei summit internazionali dove i convenuti sono leader da condotte discutibili, o come nel caso di Putin al centro di accuse penali internazionali e per questo assente, non è facile aver dei “retroscena”, ma pare che la questione dell'allargamento abbia portato via più tempo della decisione di preparare il lancio della nuova moneta. Nella conferenza stampa finale il presidente Cyril Ramaphosa, ospite dell'incontro, ha affermato che “i principi guida, gli standard, i criteri e le procedure del processo di espansione dei Brics” tra qualche mese si vedrà come andranno le cose.

Da sempre, quando le cose vanno male in patria, si cercano, o creano, nemici all'estero; questo vale anche quando all'interno di un'organizzazione ci sono problemi tra i soci. E i problemi più grossi sono quelli che riguardano i membri più grossi: Cina e India - e non solo perché recentemente Narendra Modi è stato corteggiato pubblicamente da Joe Biden. A dicembre scorso, infatti, gli eserciti cinese e indiano si sono nuovamente scontrati lungo il loro confine conteso dei due stati noto anche come Linea di controllo effettivo (LAC). La disputa risale al 1959 e nel 1962 portò a una vera e propria guerra, da allora le parti si sono progressivamente militarizzate.

Scontri precedenti, tra cui lo quello nella valle di Galwan del giugno 2020, portarono all'uccisione di 20 soldati indiani e quattro cinesi. Queste, come altre dispute territoriali, sono ai confini del Tibet il tetto del mondo dove, tra le altre cose, nascono i fiumi che forniscono acqua a buona parte del continente asiatico. Da quasi mezzo secolo, nel nostro pressoché totale disinteresse, India e Cina sono impegnate in una frenetica competizione per la costruzione di infrastrutture in zone strategiche come quelle ai loro confini. Gli ultimi colpi sono stati sparati un paio di settimane prima del summit dei Brics dopo che entrambi i governi avevano sfruttato il tempo di “pace” per rafforzare le proprie capacità logistiche per una potenziale guerra. Una situazione molto delicata che rischia di essere ulteriormente aggravata dalle politiche internazionali sempre più assertive della Cina che ha rafforzato le relazioni col Pakistan, avversario storico dell’India (in termini di dispute territoriali)  che si sta subdolamente infilando nel processo di successione del Dalai Lama.
 

Possibile che a Johannesburg tutto ciò sia stato accantonato? Possibile, e il perché, prima ancora che nella crisi economica che aspetta la Cina e le future elezioni indiane, risiede nel “valore aggiunto” dell’arrivo dei nuovi membri: il petrolio.

Quattro dei sei nuovi membri - Arabia Saudita, Iran, Emirati Arabi Uniti ma anche Egitto - sono produttori di petrolio (i primi tre anche tra i maggiori esportatori al mondo) e tanto la Cina quanto l’India hanno un disperato bisogno di fonti di energia in un momento in cui la Russia è impegnata nella sua guerra di aggressione contro l’Ucraina e non può velocemente ridirigere le proprie infrastrutture di esportazione di gas e petrolio verso l’Asia. Il traffico marittimo è invece più facilmente ri-organizzabile e tanto l’Iran, quanto il Pakistan, stanno da anni dotandosi di strutture portuali a Chah Bahar dall’Iran verso l’India e Gwadar dal Pakistan verso la Cina.

Egitto, Etiopia. Emirati e Arabia Saudita sono territorialmente pressoché contigui e storicamente alleati o protetti dagli Usa quindi con un ruolo o di cerniera o di ricatto. Discorso diverso per l’Iran naturalmente, recentemente “avvicinatosi” all’arcinemico saudita grazie a un silente lavorio diplomatico cinese, che però ha ripreso i negoziati sul nucleare con Washington.

I soldi dei paesi del Golfo potrebbero in effetti essere l’asso nella manica per la creazione di una nuova moneta e il salto di qualità, anzi quantità, per riempire le casse della Nuova Banca per lo Sviluppo, già come Banca per lo Sviluppo Brics, fondata dai cinque per “sostenere progetti pubblici o privati attraverso prestiti, garanzie, partecipazioni azionarie e altri strumenti finanziari” e presieduta dall’economista Dilma Rousseff, già presidente del Brasile per il partito di Lula. La Banca, che oggi opera in dollari, ha già promesso di agire in modo più generoso di altri enti simili mettendosi in diretta concorrenza con il Fondo Monetario Internazionale che richiede rigore finanziario se non riforme strutturali per l’ottenimento dei finanziamenti. Questa generosità, nel breve periodo, andrebbe ad aiutare chi ne ha sicuramente bisogno, ma potenzialmente potrebbe contribuire a consolidare la cronica irresponsabilità finanziaria che caratterizza buona parte di paesi ricchi e poveri.

I Brics sono nati per dimostrare al G7 come il mondo sia sempre più multipolare e che, se non esiste una volontà di rivedere la struttura e l’impostazione filosofica delle istituzioni politiche ed economiche create nelle fasi finali della Seconda Guerra Mondiale, a oltre 30 anni dalla scomparsa della Cortina di Ferro i rapporti di potere o le dispute possono esser affrontati al di fuori dell’Onu e del Washington Consensus con nuovi schieramenti trans-nazionali. Non guasterebbe se Washington, Bruxelles, Ottawa, Tokyo e Seul (e magari anche Accra e Abuja) iniziassero a prendere in considerazione in modo coordinato questo grande attivismo (vero o presunto che sia) dei Brics perché restare con le mani in mano sarebbe un gravissimo errore politico.